16.11.2015 – Oggi niente lezione. I libri, quelli soliti, sono rimasti nello zaino. Ho scritto queste parole alla lavagna. Ho portato a scuola i giornali. Tanti giornali, tutti diversi. Abbiamo letto, abbiamo parlato. Ma lezione, no.
E poi ho tirato fuori di tasca questo foglio, e l’ho letto.
“Non ci cascate.
Adesso che avete gli occhi ancora pieni di tutte quelle fotografie, di tutto quel sangue, non ci cascate.
Vi diranno che è giusto, che sarebbe da vigliacchi, che sarebbe da rammolliti. Ma voi, non ci cascate.
Vi diranno che è per la nostra sicurezza, che siamo tutti in pericolo, che lo faranno per togliervi la paura. E anche lì, non ci cascate.
Vi diranno che sono gli immigrati, che bisogna stare attenti, che gli stranieri devono stare a casa loro, che è per quello che succedono le cose brutte. Lì, soprattutto lì, non ci cascate.
Non ve lo dico perché voglio fare il buono a tutti i costi, ve lo dico perché anche io ci sono cascato.
Era un martedì di settembre, c’era il sole, ero un ragazzo poco più grande di voi e stavo stirando una camicia, lì, in mutande, già, una scena un po’ strana, mentre all’improvviso due aerei hanno squarciato il cielo di New York e fatto venire giù due torri altissime, uccidendo in un colpo solo quasi tremila persone.
Era l’11 settembre 2001.
Subito, la sera stessa, il presidente americano iniziò a usare parole forti, a usare la parole “vendetta”, e la forza di quei due immensi grattacieli in fiamme, il pensiero di tutte quelle vite innocenti spezzate era così grande che ci abbiamo creduto, quasi tutti, ci siamo cascati, abbiamo pensato “Sì, è vero, vendetta!”.
Non era così. È stato uno sbaglio. Uno dei più grandi di tutta la storia.
Il pericolo non è diminuito, è aumentato.
La paura non è finita, anzi, ce n’è ancora di più.
E più ce ne sarà, se pensiamo di fregare la paura usando le armi, la guerra, la violenza.
La paura non la freghi con la violenza. La paura la freghi tenendo la testa alta, gli occhi aperti, il cervello sveglio e, soprattutto: la mente calma.
Hanno colpito uno stadio, un teatro dove c’era un concerto, lo capite? Il messaggio era per voi, ragazzi. Soprattutto per voi: è voi giovani che volevano spaventare, dividere, è voi che volevano. Voi che vogliono.
E voi, voi, non ci cascate.
Questo, questo qui, non è il momento di urlare vendetta. Non è il momento di barricarsi in casa.
Questo è il momento di leggere, di studiare, di informarsi, di cercare di capire. Di andare a cercare le cause di questo conflitto, di non fermarsi alle conseguenze e pensare di farlo finire spazzando via quelle. Di prendere in mano Bertold Brecht, Tiziano Terzani, Martin Luther King, persone che la guerra l’hanno vista, toccata, e che hanno capito che non è mai esistita una guerra che abbia saputo fermare tutte le guerre.
Questo è il momento di stare più vicini, non più lontani. Di fidarci di più, non di meno. Di ridere, di andare ai concerti, di stringerci, di gioire. Di fargli vedere che non ci hanno diviso, ma unito di più.
È così che li freghi, quelli, è questo che a loro dà fastidio: il fatto che riusciamo ad essere così diversi, eppure così vicini, eppure così felici.
Sono queste, solo queste, le armi contro cui loro non possono niente.”
Le parole sono del Maestro Enrico Galiano