Ho letto la storia della piccola Analiese e della sua mamma Janice. 34.000 condivisioni, 15.000 like: non so se a destare gli animi del popolo web sia stato più l’orsetto porta-ceneri, o la morte; se l’empatico e incantato ascolto di un’umana Fata Turchina, o lo stupore dinanzi al dolore trasformato in energia.
Accogliamo in The Social Media Mama la riflessione della Psicologa Psicodiagnosta Dott.ssa Olga Paola Di Monaco Specializzanda in Psicoterapia relazionale della famiglia
“Quello del lutto perinatale è uno dei tabù più rigidi e omertosi scolpiti nella morale ipocrita della nostra società. Non se ne parla prima per scaramanzia. Non se ne parla dopo per non ferire. Il risultato è l’indifferenza, l’invisibilità.
All’inizio della nostra civiltà c’era una accettazione diversa della morte: non meno dolorosa, ci mancherebbe, ma l’essere umano si sentiva meno narcisisticamente ferito nel suo ideale di onnipotenza ed immortalità, croce e delizia della nostra epoca.
Quello che resta a questa mamma, a questo padre, in seguito al lutto, è un dolore agghiacciante, un senso di vuoto devastante che deve essere, se non compreso, quantomeno rispettato. No. Non è possibile. Non si può far finta di niente. Non si può dimenticare, nè farne un altro per tappare la voragine, nemmeno “non pensarci, che così passa prima”. Non si deve.
Analiese è stata amata, pensata, immaginata. E’, tuttora, amata.
Chissà se le hanno fatto una foto, chissà se era come la immaginavano, chissà cosa si sono portati dietro di quegli 85 minuti. Non avere ricordi tangibili dei momenti vissuti insieme alimenta la sensazione di estraneità, smarrimento e vuoto, e l’orsetto racchiude concretamente quel pezzo di vita percorso insieme.
Un illuminismo ingenuo ci porta a pensare che superare significhi tralasciare, farsi forza sia vivere nella superficialità del commiato. Quell’ orsetto viola è la prova tangibile che non è stato solo un sogno, non è stato solo un incubo. E’ realtà. E’ un dolore così profondo che rischia di trascinare via per sempre se non viene adeguatamente supportato.
Il lutto di per sé non è una manifestazione psicopatologica, ma può diventarlo (“lutto complicato”) se la risignificazione dell’evento, delle emozioni e dei vissuti viene bloccata o cristallizzata.
Questa storia mi ha suscitato emozioni intense. Ho provato angoscia. Profonda, disarmante, allucinogena, perché la morte di un figlio ti sconquassa l’animo. Va di moda sbandierare a mo’ di slogan “bisogna affrontare i complessi”, “dobbiamo gestire l’ansia”, “elaboriamo il lutto!”.
Ma come si fa ad elaborare il lutto chiedendo, consigliando o tentando di nascondere la polvere sotto al tappeto? Per questa mamma è più utile tenerle nel loro orsetto viola, le ceneri! E un ancoraggio concreto alla realtà è solo uno dei milioni di modi per sopravvivere affrontando il lutto, un rituale, un oggetto transizionale che tiene la mano lungo il periglioso cammino verso la consapevolezza.
Ho provato rabbia, perché a distanza di poco più di un mese dal 3 marzo, giornata mondiale dei congeniti, ancora molto deve essere fatto. E perché il dolore di chi vive il lutto perinatale non DEVE più essere relegato tra i fragili confini della propria anima, ma bisogna che la società intera gli riconosca spazio, attenzione, dignità.
Ho provato sollievo, perché ho conosciuto Analiese attraverso le parole di sua mamma.
Perché Janice si è concessa la possibilità di attingere dalla forza devastante del dolore per dare nuova vita a se stessa e alla sua bambina, anche attraverso la sua associazione. Ha trovato un suo modo, magico e unico, per vivere la propria vita, con un occhio (e tutto il cuore) verso un’altra dimensione che fa e farà sempre parte della sua esistenza.
Pagina facebook Dott.ssa Olga Paola DiMonaco”
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