Il mondo reale e il virtuale non è mai stato così vicino. Ma è educativo?

Immagino che tutti conosciamo i Pokémon: mostriciattoli da inseguire, catturare, addestrare, evolvere e far combattere tra loro. Nato come videogioco nella seconda metà degli anni ’90, ha invaso cartoni animati, giochi di carte, fumetti, film, gadgets e chi più ne ha, più ne metta. – Questo argomento è stato discusso sulla mia bacheca e, dopo le vostre richieste di voler approfondire, ho voluto chiedere a Pierdomenico Memeo divulgatore ed educatore scientifico, quale fosse il suo pensiero in merito alle ultime trovate in ambito giochi tecnologici.pokemon go.jpg

La più recente evoluzione (appunto) è Pokémon Go, che ha sorpreso un po’ tutti per il rapidissimo successo planetario. Pokémon Go è un gioco basato sulla realtà aumentata, ossia mette in relazione informazioni digitali con luoghi reali attraverso l’uso dei dispositivi elettronici portatili (principalmente tablet e smartphone).

L’effetto è una combinazione tra realtà e immaginazione: utilizzando i sistemi di geolocalizzazione e le videocamere integrate nei dispositivi, è possibile “vedere” i Pokémon sul proprio dispositivo come se si trovassero nel mondo reale, “catturarli”, e farli “combattere”.

Fin qui tutto bene. Il gioco, come tutti i successi rapidi e tecnologici, ha causato una certa dose di controversie: giocatori distratti in mezzo al traffico, confusioni tra fantasia e realtà, rischi di dipendenza videoludica; tutte cose che, per quanto non specifiche al gioco, vale la pena di considerare. Alcuni sono stati risolti dalla stessa casa di produzione: un sistema automatico blocca il gioco quando la velocità del giocatore supera i 30 km/h, rendendo impossibile giocare alla guida o anche solo in auto.

Il gioco ha generato anche numerosi effetti positivi, alcuni intenzionali altri meno: la “caccia al Pokémon” nel mondo reale ha portato numerosi giocatori a fare lunghe camminate e ritrovarsi insieme in luoghi specifici (PokéStops) per interagire e giocare. Lungi dall’essere un gioco che confina e aliena il partecipante, si è rivelato invece un fattore di interazione sociale, per quanto debba ovviamente essere governato e utilizzato intelligentemente.

Da ultimo, un commento che mi posso permettere di aggiungere come divulgatore, educatore, e diciamo persona che un po’ mastica di didattica innovativa. Questa tecnologia ha potenzialità educative e ludiche immense. Molti stanno da tempo lavorando per utilizzare sistemi simili nella didattica, ma finora sono stati successi locali.

Un gioco come questo, con una vasta risonanza mediatica e un forte impatto culturale, potrebbe essere uno dei punti di svolta per l’introduzione ad ampio spettro della realtà aumentata nelle esperienze dei cittadini, e soprattutto degli studenti.

Quello che immagino sono cacce dal tesoro digitali nei campi archeologici, alla scoperta dei misteri degli etruschi. Esplorazioni di boschi e parchi naturali, con una guida speciale che possa correre, saltare, volare, senza limiti e senza pericoli. Giochi virtuali all’interno delle città, alla ricerca di luoghi storici o dettagli architettoni. Guide museali personalizzate, che commentino l’opera che state guardando senza tracciati obbligati.

I programmi per fare questo già esistono, e una maggiore consapevolezza delle potenzialità potrebbe favorire una diffusione in campo scolastico.

La tecnologia è un mezzo, può educare e divertire, o può alienare e diseducare. Tutto sta nel come si usa. Non condanniamo a priori ciò che non conosciamo.


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