“Ero in passeggiata con i miei bimbi nel mio paese, non più di 3 mila anime. Vedo da lontano in un parco un bambino intento a raccogliere fiori. Avrà l’età della mia bambina, tre anni, massimo quattro. Mia figlia inizia a indicare il parchetto dove il bimbo gioca incurante dell’altalena e dello scivolo. Ha sotto il braccio un peluche, non lo molla un secondo.”– Morbidi, soffici e dolci da abbracciare, questi giochi svolgono anche un’importante funzione educativa e affettiva, tanto che vengono menzionati anche nella psicologia infantile.
Gli psicologi lo chiamano “comportamento di attaccamento” e lo considerano ancora più fondamentale del bisogno di nutrimento e quindi della dipendenza dalla madre nutrice: è un istinto fondamentale che ci spinge a cercare la vicinanza di una presenza sentita sicura nei momenti difficili.
La presenza di un peluche è in grado di supportare positivamente lo sviluppo psicoaffettivo del bambino e di sopperire a dei vuoti genitoriali. La storia che mamma Ramona La Versa ci racconta e’ accaduta realmente, attraverso le sue parole possiamo sentire il vibrare della sua anima e lo slancio amorevole nei confronti di chi sta vivendo quello che ha vissuto lei. Il ricordo della sua infanzia partendo dall’orsacchiotto di peluche a forma di panda che l’ha accompagnata nei suoi momenti di solitudine o paura ci guidera’ verso una lunga riflessione. Buona lettura!
“Sono una parte dell’altro. Non cade mai al suolo. Il bimbo lo porta con se anche mentre porta i fiori alla mamma. A mani libere lo abbraccia. Arrivo anche io in prossimità del parco e mi siedo sulla panchina per slacciare la grande dal passeggino. Il mio bimbo piu piccolo dorme e lo lascio riposare. Incoraggio Aurora ad andare a giocare e già è a metà scalette dello scivolo.
Guardo vicino al passeggino ed il suo giochino del giorno è per terra.
Lo raccolgo e lo rimetto nel passeggino. Intanto la mamma del bimbo è vicino a me su quella panchina. Mi chiede del mio piccolo. Iniziano le normali conversazioni tra due persone, due mamme.
Continuo a guardare quel bimbo dell’età della mia. È dolcissimo con il suo animale di pezza. Ricorda me quando ero bambina…
Quando ero in collegio ed il mio unico gioco era un animale inanimato. Passa un oretta, devo andare a casa ed anche la mamma si congeda. Suo figlio arriva senza storie la mia invece ci mette un po di più perché vuole rimanere. Insieme li vedo andare via, mano nella mano…con l’animalino di pezza nella mano libera del bimbo.
Passano alcuni giorni e mi rendo conto che mia figlia ha davvero troppi giochi. Troppe cose che rimangono inguardate a raccogliere polvere.
Ripenso all’incontro con quel bambino e inevitabilmente mi rivedo di nuovo. Dove tutto il ben di dio che ha mia figlia io me lo sono solo sognata. Dove per me era già tutto un solo animale di pezza. Quello che un giorno persi mentre traslocavamo di fretta e furia per andare via. Mi chiedo se sono stata così brava a viziare mia figlia perché io ho avuto poco ed un po’ mi pento perché ora non apprezza nulla per più di dieci minuti.
Approfitto della sua assenza e metto via tutti i giochi che non usa e non guarda. Faccio una bella scatola e mi metto alla ricerca.
Ho in mente una tappa ben precisa.
Quando ero piccola e avevo perso tutto la casafamiglia che mi accolse mi fece un dono. Un dono speciale per entrare in quel nuovo mondo, in quella nuova vita dove tutti ripartiamo da zero. Mi venne regalato un panda di pezza. Proprio simile a quello che avevo perduto. Fu una benedizione. Mi sentivo felice, non mi sentivo sola. Di notte lo stringevo. Al mattino lo lasciavo a letto. Quando tornavo da scuola lo riprendevo. Inseparabili come il bambino del parco ed il suo orso.
Mentre penso a tutto questo senza accorgermene ho già composto il numero di una casa.
Una casa famiglia.
Qui nel mio paese di tremila anime. Mi risponde una donna. Dialoghiamo del più e del meno e ci diamo appuntamento per vederci. Per dare a qualche bambino la gioia di ricevere un dono. Appena arrivo in prossimità della casa rivedo quel bambino con il suo peluche sotto braccio.
Ancora una volta non lo molla un secondo. Ancora una volta mi catapulta nella mia infanzia. Guardo il numero civico. La casa del bambino è quella che devo raggiungere. Mi accoglie lei. Quella mamma che ho visto al parco pochi giorni prima.
È lei che gestisce la casa famiglia.
È sorpresa per entrambe.
Ci vuole poco per svelarci.
Lei gestisce quella casa famiglia ed il bimbo è una sua nuova accoglienza da appena un anno. Un passato difficile e mi racconta tutto quello che quel piccolo bambino ha dovuto passare.
Non ci vuole molto a capirlo e in un batter d’occhio capisco l’importanza del Suo peluche.
Ancora di salvezza nella sua nuova vita. Mentre il mondo gli volava le spalle, quel gioco lo accoglieva nella sua nuova vita. Aggrappato a quel peluche ero certa che si sentisse al sicuro proprio come mi sentivo io. Io e la donna ci congediamo con un saluto ma non ho resistito dal baciare quel bimbo.
Gli ho sussurrato in bocca al lupo e lui mi ha guardato con la certezza di chi sa cosa gli sto augurando.
Tornando a casa, ho pianto per tutta quella disperazione che avevo dovuto accogliere nel mio cuore di bambina, a quanta forza ho dovuto dare alla mia vita per farla reggere in piedi. Ho pianto per tutta la forza che aveva quel bambino nonostante le parole della donna. A quel suo sorriso che ti fa dire: “la vita va avanti..”
Ho pensato a quel bambino per tutto il tragitto e nei giorni seguenti: lui è il suo peluche. Ho ripensato al mio. Quello che lasciai sul letto nel momento in cui venni adottata da un altra famiglia. Lo lasciai li per rendere felice quante altro bambino. Io nel cuore avrò sempre il mio panda come ricordo felice di un momento drammatico.
Non ho mai comprato un panda a mia figlia ne lo comprerò a mio figlio.
Quel panda è il mio ricordo di un gioco perfetto per un periodo imperfetto ed ancora oggi dopo vent’anni mi chiedo quale bambino lo stringe a se come gioco di salvezza in un periodo burrascoso…”
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